Affronta la condizione delle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate la nuova tappa della campagna “Violenza sulle donne. In che Stato siamo?” lanciata da D.i.Re – Donne in rete contro la violenza lo scorso 8 marzo. Obiettivo della campagna è far conoscere le raccomandazioni del GREVIO, il Gruppo di esperte sulla violenza del Consiglio d’Europa, e spingere lo Stato italiano ad attuarle per dare così piena applicazione alla Convenzione di Istanbul.

 

Il Rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia del GREVIO è stato pubblicato il 13 gennaio scorso, al termine di un processo di monitoraggio avviato nel 2018 e durato quasi due anni. In questa occasione D.i.Re aveva coordinato la redazione del Rapporto ombra della società civile, inviato alle esperte del GREVIO e utilizzato per individuare le aree di criticità al di là di quanto affermato nel Rapporto governativo.

La Convenzione di Istanbul affronta specificamente la condizione di donne migranti richiedenti asilo e rifugiate nel suo Capitolo VII – Migrazione e asilo, con 3 articoli che riguardano in particolare lo status di residente (art. 59), le richieste di asilo basate sul genere (art. 60) e il diritto di non respingimento (art. 61).

Il GREVIO segnala in particolare come “nonostante le donne migranti e richiedenti asilo abbiano legalmente diritto a servizi di assistenza sociale e sanitaria pari a quelli dedicati alle cittadine italiane, l’accesso a tali servizi può risultare difficile a causa di barriere amministrative, come i requisiti di residenza e/o la difforme interpretazione data a tali requisiti“, con riferimento anche al Decreto Sicurezza del 2018 (legge 132/2018), che vieta ai Comuni di concedere la residenza ai/lle richiedenti asilo.

“L’accesso all’assistenza è altresì ostacolato da barriere culturali, come la mancanza di servizi di mediazione culturale stabili e la limitata capacità di fornire informazioni culturalmente sensibili ed erogare servizi attenti alle specificità culturali e di genere”, scrive ancora il GREVIO. Per questo a più riprese raccomanda allo Stato italiano di migliorare la formazione di chi opera sulla violenza come pure di chi è attivo nel sistema di accoglienza di migranti richiedenti asilo e rifugiati/e, perché sia riconosciuta adeguatamente anche la violenza subita dalle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate.

“Fino al novembre 2018”, ovvero fino all’entrata in vigore della legge 132/2018, “la protezione umanitaria veniva riconosciuta alle donne che avessero subito violenza di genere durante il loro viaggio nei Paesi di transito, oppure veniva riconosciuta sulla base delle conseguenze dei traumi e delle condizioni psichiche delle superstiti di violenze di genere, specialmente nei casi in cui erano disponibili rapporti medico- psicologici”, scrive il GREVIO. Questo, a fronte di “un alto tasso di rigetto delle richieste di asilo da parte delle donne“, mentre “tra coloro che hanno ricevuto protezione, la maggior parte ha ottenuto solamente la protezione umanitaria o sussidiaria, non lo status di rifugiato”, pur riconoscendo una grande varietà negli esiti delle domande di asilo a seconda delle diverse Commissioni territoriali deputate alla determinazione dello status.

Numerose sono le raccomandazioni del GREVIO allo Stato italiano che dunque chiedono di fare di più per assicurare adeguata protezione alle donne migranti richiedenti asilo vittime di violenza, in linea con la Convenzione di Istanbul, la Convenzione internazionale sui/sulle rifugiati/e del 1951 e la Convenzione europea sui diritti umani, in particolare per quanto riguarda il diritto al non respingimento, tra cui

  • “assicurare che il personale operante nei centri di prima accoglienza, negli hotspot e nelle strutture di accoglienza abbia ricevuto un’adeguata formazione per individuare, proteggere e segnalare le donne vittime di violenza di genere, compresa la mutilazione genitale femminile”;
  • “garantire che vengano date adeguate informazioni, in tutte le fasi dell’accoglienza, alle richiedenti asilo, per renderle consapevoli delle loro vulnerabilità e diritti, e agevolarne l’accesso ai servizi di protezione e assistenza generici e specializzati”;
  • “assicurare che i centri di accoglienza siano integrati in una prospettiva a lungo termine ed in un approccio multilaterale, che coinvolga i servizi del settore sanitario e sociale, nonché le ONG dedicate alle donne ed i centri antiviolenza”.

“Le donne migranti che fuggono da una situazione di violenza affrontano ulteriori difficoltà quando cercano alloggio e lavoro. Di conseguenza, le donne migranti potrebbero essere più inclini a diventare vittime di violenza fin da subito a causa della loro situazione socio-economica“, scrive ancora il GREVIO. La dipendenza dal marito per il permesso di soggiorno ottenuto per ricongiungimento familiare è un ulteriore ostacolo alla fuoriuscita dalla violenza.

Nonostante in Italia sia possibile ottenere, ai sensi dell’articolo 18-bis del Testo Unico sull’Immigrazione (D. Lgs. no. 286/98) “un permesso di soggiorno valido un anno per motivi umanitari se le forze dell’ordine o i servizi sociali accertano una situazione di violenza nei confronti di una persona di nazionalità straniera, che minaccia la sua sicurezza”, il Rapporto del GREVIO evidenzia che “le donne che si separano da un partner violento incontrano difficoltà ancora maggiori nell’ottenimento di un permesso di soggiorno” perché “l’opportunità prevista ai sensi di legge di ottenere un permesso di soggiorno senza dover sporgere denuncia è virtualmente inesistente, poiché i servizi sociali non possiedono le conoscenze e le abilità specialistiche necessarie per elaborare i rapporti richiesti. Le informazioni sull’ottenimento di tale permesso non sono molto diffuse e pare che molte migranti vittime di violenza non siano a conoscenza dei propri diritti al riguardo”.

Si tratta di ostacoli con cui le operatrici dei centri antiviolenza D.i.Re coinvolti nel progetto Leaving violence. Living safe si confrontano regolarmente, considerato che l’autonomia, compresa l’indipendenza economica, è l’obiettivo di tutti i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, e il permesso di soggiorno sta a fondamento del riconoscimento di sé come cittadina a tutti gli effetti.

Il GREVIO dunque “esorta vivamente lo Stato italiano ad adottare le misure necessarie, anche sotto forma di modifiche legislative, per assicurare che la legislazione in vigore e/o la sua applicazione consenta alle donne straniere di ottenere un permesso di soggiorno autonomo in caso di circostanze particolarmente difficili, tenendo conto che tali circostanze potrebbero comprendere l’essere vittime di forme di violenza contemplate dalla Convenzione di Istanbul perpetrate e/o consentite dal coniuge o dal partner”.